Anche in Italia si può abortire (e morire) di Ru486
Il fronte abortista ha vinto. Una vittoria dura e dolorosa che non tiene conto che nel mondo sono almeno 29 le morti accertate per assunzione della Ru486, la pillola abortiva fai da te che da oggi, e per via libera dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, potrà essere commercializzata anche nel nostro paese. Ventinove decessi accertati e denunciati dalla stessa ditta farmaceutica che produce il farmaco e chissà quanti altri non registrati sotto quel cartello di responsabilità.
Dopo una riunione durata più di quattro ore, il via libera a maggioranza è arrivato ieri in tarda serata. Il Consiglio di amministrazione dell'Aifa ha approvato (quattro contro uno) l'immissione in commercio nel nostro Paese del farmaco già commercializzato in diverse Nazioni. La Ru486 potrà essere utilizzata in Italia solo in ambito ospedaliero, così come la legge 194 prevede per le interruzioni volontarie di gravidanza, ha spiegato uno dei consiglieri dell’agenzia il quale aggiunge: "dopo una lunga istruttoria è stato raccomandato di utilizzare il farmaco entro il quarantanovesimo giorno, cioè entro la settima settimana. Oltre questo termine aumentano infatti le complicanze rispetto all'aborto chirurgico". E questo già dice qualcosa che non ci saremmo aspettati di sentire.
I punti oscuri dell’assunzione del farmaco sono ancora troppi. Innanzi tutto dobbiamo chiederci se la pillola garantisce la compatibilità con la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza e soprattutto la sicurezza delle donne. Il timore, che viene dalla politica, ma non solo, è che per la Ru486 ci sia stato un peso ideologico che ha oscurato la sua effettiva valutazione tecnico-scientifica ed anche la sua effettiva compatibilità con la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. A sostenerlo pubblicamente è il sottosegretario al welfare, Eugenia Roccella, la quale aggiunge: “Il metodo dell'aborto farmacologico con la pillola Ru486 è un metodo che intrinsecamente porta la donna ad abortire a domicilio, proprio perché il momento dell'espulsione non è prevedibile”. E che crea, quindi, tutti i presupposti per una condizione che non è esagerato definire di “clandestinità legale”.
E qui si apre il primo nodo della questione italiana. Il problema del “dove”. Nel nostro paese la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza consente di abortire esclusivamente all’interno di una struttura ospedaliera e sotto lo stretto controllo medico. Ma perché la pillola abortiva produca i suoi effetti occorrono fino a 15 giorni. Troppi, perché il servizio sanitario nazionale sia disposto o in grado di sostenere i costi, sempre troppi perché le donne vogliano (o possano) accettare la degenza. Saranno allora molti di più i casi in cui la donna decida di firmare le sue dimissioni dopo aver assunto il farmaco espulsivo, in una fase, cioè ancora in atto di interruzione di gravidanza. Con tutte le possibili implicazioni di un simile caso. E allora vale la pena chiedersi: cui prodest? Risponde Roccella, aprendo un altro fronte di polemica: “Chiaramente tale uso è promosso da un'organizzazione sanitaria che ha un peso degli aborti nelle strutture pubbliche, e che tende a cercare di liberarsene”.
Problemi ideologici e questioni politiche, quindi sarebbero alla base della scelta pro choice. A gettare ulteriore benzina sul fuoco della polemica politica è poi Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni: l' Aifa ha deciso "nel totale disprezzo del Parlamento, che da tempo, con numerose interrogazioni, ha chiesto approfondimenti scientifici in materia, e potrebbe adottare degli atti di indirizzo contrari alle decisioni della stessa Aifa". Poi Mantovano alza la palla e schiaccia: "si parla tanto di rispetto del Parlamento e di rispetto dei diritti dei quali il Parlamento è garante, sarebbe il caso di far riferimento non solo a materie oggetto di frequenti e recenti polemiche, spesso pretestuose, come quella dell'immigrazione, ma anzitutto del fondamentale diritto alla vita".
C'è da scommettere che la polemica non si fermerà alle prossime ore. E che molto ancora rimane da chiarire e da discutere. Rimane l'amarezza di una decisione che colpisce tutti, anche chi ha letto la decisione dell'Aifa come una vittoria della libertà, perché l'aborto con la Ru486 è per la donna di gran lunga più rischioso di quello tradizionale. È più doloroso, incerto e psicologicamente più devastante di quello praticato con altri metodi. E allora c'è poco da esultare.
L'occidentale